sabato 16 novembre 2013

Regular maintenance

La lavanderia mi ispira, come alternativa allo scrivere da casa o da uno Starbuck. Strano ma vero, nella mia zona non ci sono Starbucks a portata di mano e il più vicino è solo in Downtown. Per carità, mi basterebbe attraversare il fiume, ma significa comunque lasciare la mia zona, dove tutto quello che mi serve è a due isolati di distanza. Tutto, meno Starbucks...

Il titolo sta a significare che questa settimana è stata abbastanza tranquilla, a parte una spruzzata di neve notturna, subito dimenticata coi 15 gradi di oggi. Mercoledì sono andata ancora a fare volontariato, per una conferenza dove un architetto afroamericano parlava della sua esperienza di vita. È il primo architetto afro, nonchè pluridecorato nel nostro campo, nonchè l'artefice della sistemazione di Atlanta per le Olimpiadi del '96. 
Penso che nessuno se le ricordi, quelle Olimpiadi, ma io si. Forse anche mia sorella, visto che era estate ed eravamo dalla Nonna Rita. Io avevo 9 anni e mia sorella 7. Il nostro televisore (un Mivar...) all'epoca ancora in bianco e nero, quell'estate prendeva un solo canale: RAI UNO. Il che per noi era sufficiente, posto che dovevamo vedere la Signora in Giallo a pranzo e qualcos'altro a merenda nel pomeriggio. Di solito c'erano i cartoni di Solletico, ma quell'estate c'erano le Olimpiadi, presentate da un sempre eccitatissimo Fabrizio Frizzi. Non è facile rimanere eccitati durante i tempi morti delle Olimpiadi, tra una gara e l'altra, ma lui era sempre così gasato che coinvolgeva anche noi, che non capivamo nulla e stavamo li solo per leggere i nomi strani degli Ucraini, o degli Svedesi. La Nonna lasciava fare, controllando ogni tanto se c'era qualcuno di Italiano, ma senza capirci nulla nemmeno lei.
E poi la sigla: a parte la mascotte di Atlanta '96, molto buffa, c'era questa intro dopo ogni pubblicità. Faceva: "Atlant-tam-tam... Atlant-tam-tam" e io e mia sorella saltellavamo sul pavimento di pietra cantando lo stesso ritornello, tutte esaltate. Ridicolo, ma vero.

Ascoltare l'architetto che ha disegnato tutto, per le Olimpiadi (anche le grafiche per gli sport e per la segnaletica) mi ha fatto un buffo effetto. Mostrava foto delle torri luminose con cui ha ridato vita ad Atlanta. Mostrava gli stadi, foto delle Olimpiadi. E poi tutto il lavoro di una vita. Oscar Harris, cresciuto a Pittsburgh, che poi ha abbandonato appena ha potuto, per Atlanta. Qui è diventato un favorito del settore pubblico (a sua detta, il settore privato ancora lo snobba, siccome "di colore"). 
sopra, il libro che presentava mercoledì sera, tutto su di LUI

La sua presentazione è stata un trionfo dell'ego mostruoso che solo un architetto può avere: "Io, io, io, me medesimo: ho detto, ho fatto, comandavo qui e ordinavo lá".  Era quasi ridicolo. E il pubblico era invece  abituato a sentire discorsi molto più coinvolgenti per la comunità: ci si aspettava progetti che aiutassero la comunità afro a riemergere. Magari qualcosa di più su Pittsburgh e sull'Hill District. Invece quella era la storia di un self made man, uno che si è fatto da solo, che balbettava tremendamente da giovane e ha avuto solo tanti colpi di fortuna, che ha saputo sfruttare benissimo. 
A chi gli ha chiesto cosa si poteva fare per aiutare la comunitá Afro americana, lui si è limitato a dire -in pratica- di farsi valere e tirarsi fuori dai guai da soli. Ha piantato un'invettiva contro i giovani e i pantaloni bassi, sostenendo che il livello di probabilità di essere assunti è pari al livello del cavallo dei pantaloni. Finchè vai in giro con le chiappe fuori e il cavallo alle caviglie, nessuno mai investirà su di te. Uguale per il quartiere: se lasci la pattumiera ovunque, fuori in strada, nessuno si prenderà cura del quartiere, o vorrà investirci. Quindi ecco: se siete nella cacca, pulitevi da soli e tirate l'acqua dopo. Il pubblico era incredulo.

Ora, io credo che il discorso fosse giusto, ma bisogna riconoscere che ci vuole più impegno anche da parte delle autorità e del comune. Non puoi pretendere che la comunità, piena di droga e criminalità, magicamente si rialzi da sola. Semplicemente non avviene. Come architetti, possiamo fare progetti che invoglino la comunità a prendersi cura dei luoghi, o progetti che si impegnino a creare luoghi di raccolta, dove le persone possono produrre (insieme) buone idee. Anche per tirarsi fuori da soli, ma è innegabile che la municipalità debba dare una mano. 

A parte questo evento, la settimana è stata carina. Ho potuto organizzare il viaggio di Natale, quando andrò in Michigan e riunirmi con la famiglia Americana di lì e ne sono entusiasta.
Ho anche dato una mano a rinfrescare il logo di un'associazione dove opera un'amica. Gli serviva la versione Natalizia dello stesso. È venuto bene, devo ammettere e sono soddisfatta.
Poi dovrò pensare anche io a qualcosa per il mio Natale, graficamente parlando. Mi piace fare un'immagine da mandare a tutti i miei amici, o da postare su Facebook. Vedremo.
Ora ho finito di stendere i panni, a casa, e sono pronta per il resto del weekend. Andrò a vedere dei murales in una chiesa, con Marcella, e poi stasera a cena con amici. Domani Mondo Italiano, Italiano Espresso per due risate e poi forse mi fermo nella mia vecchia zona, a fare un paio di saluti. Vedremo come va. 

Niente di nuovo sul fronte occidentale, per citare un libro abbastanza famoso. Tutto procede correttamente e sto anche trovando il tempo di rilassarmi un attimo.
Spero che anche voi, in Italia, possiate fare lo stesso. Io seguo sempre quello che succede da voi, via TG1, ma mi pare che siamo sempre lì, come sempre, sull'orlo di una crisi di nervi, più che di una crisi vera. Cioè, vedremo: sono così stufa "di noi" che non so più che dire: vedremo!

Settimana prossima, tanto per mettere le cose in chiaro, mi iscrivo definitivamente all'AIRE, e sarò residente negli States. Poi vedrò di fare in modo che la mia esperienza qui sia professionalmente intelligente. Vorrei fare un paio di esami e certificazioni. Vedremo vedremo.

Un abbraccio!

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